Un nome che ormai corrisponde ad un immaginario ben preciso, abbracciando in modo ampio cinema, architettura, design e arte: Wes Anderson, il cui nome completo è Wesley Wales Anderson, nato il 1 maggio del 1969 a Houston in Texas, cresce nella vasta provincia texana in una famiglia della buona borghesia americana: il padre è un manager, la madre un’archeologa.
Come ricorda lo stesso regista in un’intervista, un punto di svolta della sua infanzia è il divorzio dei genitori che lo spinge, a soli 10 anni, ad interessarsi di recitazione e di teatro per vincere l’imbarazzo rispetto ai suoi coetanei. Il cinema sembra essere una sua seconda natura, fin da ragazzino, e una seconda famiglia. Al momento di iscriversi all’università decide però di studiare filosofia ad Austin, dove il suo compagno di stanza e miglior amico è il futuro attore Owen Wilson. Wilson, che fin da giovane ha una personalità decisamente istrionica, si mette ben presto a disposizione dell’amico per girare demenziali cortometraggi comici che hanno tanto successo da essere infine trasmessi su alcune reti televisive locali.
Ai due si aggiunge presto Luke Wilson, fratello più giovane di Owen. È la nascita del cosiddetto “Frat pack”, un gruppetto di amici con la passione per il cinema, i libri e per l’umorismo che più tardi includerà anche Ben Stiller, Jack Black, Will Ferrell e Steve Carell.
La cifra cinematografica di Wes Anderson è fin da subito precisa: inquadrature simmetriche, personaggi surreali, ricerca quasi ossessiva dei dettagli. Dai Tenenbaum del 2001, a Il treno per il Darjeeling (2007), fino al recente Capolavoro The Grand Budapest Hotel (2014): ogni singolo centimetro della pellicola è studiato al millimetro creando un’estetica unica. I mondi di arte, design, moda si fondono in Wes Anderson: un vero e proprio set designer.
Un esempio tangibile è il rapporto che il regista intreccia con Prada. Il bar della sede espositiva della Fondazione, idea da Rem Koolhaas, è affidato all’estro di Wes Anderson.
Come racconta Anderson, “quando ho progettato questo bar il mio approccio è stato l’opposto rispetto a quello che faccio per i set dei miei film. Ho cercato di creare un luogo dove andare cinque volte alla settimana. Da ragazzo volevo diventare architetto, perciò questa per me è stata l’occasione perfetta per fingere di esserlo davvero!”
Il Bar Luce è stato pensato dal regista “per essere vissuto, con posti comodi dove sedersi, conversare, leggere, mangiare e bere”. Come osserva lo stesso Wes Anderson, “credo sarebbe un ottimo set, ma anche un bellissimo posto per scrivere un film. Ho cercato di dare forma a un luogo in cui mi piacerebbe trascorrere i miei pomeriggi non cinematografici”.
Il caffè è ospitato all’interno del primo edificio che i visitatori incontrano entrando alla Fondazione Prada. La gamma cromatica, gli arredi di formica, le sedute, il pavimento e i pannelli di legno che rivestono le pareti, ricordano la cultura popolare e l’estetica dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, a cui Anderson si era già ispirato per il cortometraggio Castello Cavalcanti (2013).
Il soffitto a volte e la parte superiore delle pareti riproducono in miniatura la copertura in vetro e le decorazioni della Galleria Vittorio Emanuele, uno dei luoghi simbolo di Milano. Due capolavori del Neorealismo italiano, Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica e Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti, sono tra le altre fonti di ispirazione per il progetto.
Entrando nel Bar Luce della Fondazione Prada di Milano si ha l’impressione di entrare in un luogo senza tempo. L’attenzione al dettaglio e i colori pastello creano un’atmosfera irreale e nostalgica: il posto perfetto per sognare un po’.
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